La quotidiana convivenza in edifici condominiali sottopone spesso a continue turbative della propria tranquillità e salute, a causa delle cosiddette “immissioni” da parte degli occupanti degli immobili vicini, siano essi abitazioni, negozi o industrie (detti anche “fondi”).
La normativa generale di riferimento è l’articolo 844 codice civile, secondo il quale “il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi“.
E’ evidente che la possibilità di agire o meno per far cessare la molestia si fonda quindi sulla tollerabilità o meno della molestia stessa all’interno delle mura della propria proprietà immobiliare. Ma chi definisce cosa è tollerabile e cosa non lo è? E come agire concretamente per far cessare ciò che non è tollerabile? Quali sono i danni risarcibili? Come provarli? Di seguito le risposte a queste e ad altre domande.
Tollerabilità. Non esistono in assoluto dei parametri di riferimento: più volte la giurisprudenza ha chiarito che le norme tecniche speciali finalizzate a definire soglie di ammissibilità di varie forme di inquinamento (acustico, termico ecc.) hanno la finalità di garantire la tutela di interessi collettivi e non quella di disciplinare i rapporti di vicinato. Il giudice pertanto non sarà vincolato da tali norme per definire la tollerabilità o meno della immissione sottoposta al suo esame ma, d’altro canto, anche il rispetto di tali norme da parte di chi produce l’immissione non lo mette al riparo dall’azione di vicini che ritengono violata la tollerabilità della immissione nel contesto nel quale essa viene prodotta. Il giudice quindi dovrà valutare il singolo caso e, cosa importante, la sua decisione risulterà insindacabile in sede di legittimità (da ultimo: Cass., sent. n.22105/2015). In aiuto di tale discrezionalità può venire il regolamento condominiale, ma solo quando esso abbia natura contrattuale, quando cioè sia stato redatto dall’originario costruttore del fabbricato, trascritto e richiamato nei singoli atti di compravendita o, in alternativa, quando sia stato accettato dalla unanimità dei condomini; solo in questo caso esso potrà infatti limitare anche l’utilizzo delle singole proprietà private, e nella fattispecie imporre misure specifiche della tollerabilità o meno di determinate immissioni piuttosto che di altre, derogando anche all’art.844 cod.civ.
Regime della prova. Contrariamente alle verifiche prescritte dalle norme a tutela di interessi collettivi, nei rapporti di vicinato la prova del superamento o meno della tollerabilità di una immissione non richiede necessariamente un accertamento di natura tecnica. Risulta ampiamente ammissibile, infatti, la prova testimoniale, demandando poi al giudice valutare l’attendibilità e la congruità delle dichiarazioni di parte. Anche il ricorso del giudice alla consulenza tecnica non può essere invocata dalla parte per provare l’illiceità delle immissioni, “qualora la parte tenda con essa a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni od offerte di prova” (Cass., 2011, n.3130).
Danni. Per i danni cagionati dalle immissioni in parola occorre distinguere quelli ti tipo patrimoniale dai danni di tipo non patrimoniale. Per i primi vige l’ordinario regime probatorio e quindi il danneggiato deve provare i danni subiti (ad es. lesioni da vibrazioni, mancata locazione per inquinamento ecc.). Per i secondi invece, ad esclusione dei danni alla salute che provocano una vera e propria malattia riconosciuta, la costante giurisprudenza della Corte di Cassazione ha stabilito che il danno è in re ipsa, cioè sussiste in se stesso, senza bisogno di essere provato e quindi, una volta che il giudice stabilisce la non tollerabilità delle immissioni, il vicino danneggiato ha diritto al risarcimento. Si tenga presente che il danno non patrimoniale è rappresentato dalla violazione dei diritti della persona garantiti dalla Costituzione, quali ad es. quello alla tranquillità, al riposo notturno, alla sicurezza, alla esplicazione delle proprie abitudini, al pieno godimento del bene e simili, che non sfociano in vere e proprie patologie ma che meritano tutela, la quale è ribadita anche dall’art.8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. In questi casi la prova può essere raggiunta con elementi presuntivi e di esperienza comune (Cass., n.26899/2015). Diverso dicevamo il caso nel quale le immissioni accertate come intollerabili provocano un danno alla salute: in tal caso il giudice deve avvalersi di una consulenza tecnica per accertare la causalità tra i fatti e il danno, e la consulenza medica risulta doverosa (Cass., n.13401/2005, n.8297/2005, n.1120/2006, n.17685/2016).
Tutela processuale. Gli aspetti procedurali per la tutela dei danni da immissioni vedono la possibilità di esperire due tipi di azioni. La prima è l’ordinario atto di citazione, che comporta tempi del processo sicuramente non brevi. Il secondo è il ricorso d’urgenza, rientrante nelle tutele cautelari. In vero la praticabilità di questa seconda strada richiede la contemporanea presenza di tre condizioni: il fumus boni iuris (la parvenza del diritto reclamato), il periculum in mora (il pericolo che nell’attesa il diritto possa pregiudicarsi) e il pregiudizio imminente e irreparabile. Mentre per i danni patrimoniali tale procedimento risulta difficilmente esperibile, esso risulta pienamente percorribile per i danni non patrimoniali, specie quelli costituzionalmente garantiti (Trib.Perugia, 14/10/2014 e 28/01/2014, Trib.Sanremo, 06/08/2007, Trib.Salerno 22/03/2004).
Raffaele Tortora